Libri sul vino, perché solo manuali e guide? Riflessioni al ritorno dal Salone del Libro
Per la prima volta ho partecipato al Salone Internazionale del libro a Torino e l’ho fatto da autrice, con due libri pubblicati da due editori nazionali, Come il vino ti cambia la vita, Cairo e Custodi del vino, Slow Food Editore.
È stato per me un momento di grande soddisfazione, scrivere è la mia vocazione e condividere storie, pensieri e cultura è il motore delle mie giornate.
Ho scelto di mandare un messaggio preciso con i miei libri che sono nati dall’osservazione dell’editoria di settore e del tipo di pubblicazioni sul vino a disposizione. Studiando la materia e comunicando il vino per professione mi sono resa conto che il 90% dei titoli è fatto di manuali, libri didattici, guide di ogni tipo, ma è molto difficile trovare racconti, una narrativa del vino che non sia tecnica, ma che faccia riflettere anche sugli aspetti sociali, economici, culturali di un prodotto fondamentale per il nostro Paese.
Siamo infatti la nazione che produce più vino al mondo, ma con meno libri sul vino che non siano funzionali.
Per questo motivo è stato difficile trovare una collocazione per i miei due libri negli scaffali delle librerie: non sono guide, non sono didattici, non sono fiction perché raccontano di persone vere e fatti verificati…qualcuno ha osato metterli nella narrativa, altri nei viaggi. Vi chiederete: qual è il problema? Perché non possono rimanere tra i ricettari di cucina?
Perché se non riusciamo a raggiungere il grande pubblico falliremo nel tentativo di diffondere la cultura del vino che è il pilastro di settori cruciali per la nostra economia come l’enoturismo, l’ospitalità, l’agricoltura.
In Custodi del vino, nelle conclusioni, mi auspico che venga introdotta la materia cultura enogastronomica nelle scuole dell’obbligo. Ma senza affascinare le persone comuni, non gli addetti ai lavori, con dei racconti umani sul mondo del vino, come possiamo pensare di cambiare la sensibilità riguardo a questi temi?
Il cambiamento culturale parte dalle persone: se il mondo del vino è autoreferenziale e parla un linguaggio noioso, didattico, che nessuno capisce, come potremo ispirare le nuove generazioni a investire in una carriera nel vino? Questo è l’intento con il quale scelgo le storie che racconto nei miei libri, dove si trovano pochissime descrizioni di vini, ma tante battaglie personali, successi, sconfitte, sogni e idee di impresa.
La mia più grande soddisfazione è che i miei libri li leggono gli astemi. Perché il vino è di tutti, anche di chi non lo beve ma ne trasmette la cultura e ne apprezza la profondità.
Quindi sogno un domani in cui vengano pubblicati libri sul vino nei generi più disparati: romanzi, gialli, satira, fumetti, narrativa di viaggio. Questi linguaggi universali porteranno più persone a dare una sbirciatina dentro a questo mondo enoico e chissà che tra i lettori ispirati non si nasconda il prossimo produttore di successo che inizierà la sua avventura proprio grazie a un libro che tanti anni prima gli ha raccontato la magia del vino. Che è tutto tranne che una bevanda.
Con questo non voglio sostenere che i manuali o le guide non siano utili, anzi. Proprio grazie a quei libri ho potuto acquisire la cultura necessaria e fondamentale per parlare professionalmente di vino, per degustare in modo tecnico, un’attività che è parte integrante del mio lavoro. Questo però non è abbastanza. La letteratura del vino non si può limitare a questo. Altrimenti non usciremo mai dal circolo vizioso dello snobismo enoico.
Durante le presentazioni di Custodi del vino racconto spesso che molti dei personaggi famosi che ho contattato per le interviste che aprono i capitoli dedicati alle regioni hanno avuto reazioni di sorpresa e timore di fronte alla richiesta di parlare di vino. Ho intervistato volutamente personaggi che nulla hanno a che fare con il settore per dimostrare che tutti possono e devono poter parlare di vino senza paura di sbagliare termine o di dire una cavolata sulle denominazioni e sui vitigni. Eppure perfino personaggi di alto profilo del mondo dello spettacolo, abituati a parlare in diretta dei temi più disparati, alla parola vino hanno alzato bandiera bianca, non volevano discuterne perché non si sentivano all’altezza.
Questo è il segnale che in questo Paese c’è un enorme gap culturale e di approcciabilità al vino. Proviamo a colmarlo, continuiamo a parlarne liberamente, in modo semplice, ma non banale, in modo comprensibile, ma non superficiale. Anzi, andare in profondità nei racconti di chi lo produce fa emergere tutta la sua complessità che i comunicatori del vino, come me, hanno il compito di tradurre per il grande pubblico.
Con i miei libri cerco di scendere dal piedistallo dell’esperto e mi pongo sempre con occhi curiosi di bambina di fronte alle persone che incontro sul mio percorso di indagine giornalistica. Spero che questa fanciullesca meraviglia riesca a rendere piacevoli e accattivanti i racconti, gli aspetti sociologici ed economici che descrivo nelle mie pagine e faccia comprendere a chi legge che il vino non esiste senza gli uomini e le donne che lo pensano, lo desiderano, lo producono e ce lo offrono, sapendo che nelle nostre mani, nei nostri bicchieri, diventerà qualcosa d’altro: un ricordo, un attimo di estasi, un’emozione.