Vini senza alcol, per la prima volta al SommCon, in USA, un seminario dedicato. Come si fanno? Ce lo racconta la direttrice scientifica di Millevigne
Per la prima volta alla conferenza nazionale americana dei sommelier, il SommCon, si è tenuta una masterclass con degustazione sui vini dealcolizzati. Segno che questa categoria di prodotti sta davvero crescendo e attirando l’attenzione del settore. A tal punto che i sommelier e wine director non possono più far finta che non esista. Nel 2021 negli Stati Uniti le bevande senza alcol (vini e spiriti, non bibite) hanno generato 1.6 billion i di dollari e le previsioni di mercato parlano di una crescita di 4 volte tanto entro il 2031. L’idea di fondo del seminario, tenuto dal Master Sommelier Will Costello e dai brand ambassador di due dei principali marchi di vini senza alcol, Proxies (Matthew Kaner) e Lyre’s (Megan Murphy), è stata quella di dimostrare come i vini no alcol o low alcol non riducono, anzi amplificano il mercato del vino, calamitando l’attenzione di nuovi possibili consumatori e che rappresentano un’opportunità da non guardare con sospetto o con pregiudizio. Minorenni, persone con condizioni di salute che vogliono e devono evitare l’alcol, persone attente alla linea (spesso il claim di questi prodotti è anche di essere meno calorici), i “designated drivers” ovvero coloro che devono mettersi alla guida in sicurezza (ricordo che negli USA la guida in stato di ebbrezza è reato penale), donne in stato di gravidanza che non vogliono sentirsi chiedere come mai non bevono vino a cena. È evidentemente un mercato allettante.
Ma la domanda che riecheggia nel nuovo e nel vecchio continente è sempre la stessa: è giusto chiamarli vini? O sono più bibite che imitano il sapore degli alcolici? Sophisticated sodas?
Le bevande che ho degustato al seminario forse non si sarebbero potute chiamare vino in Europa, dove i regolamenti sono più restrittivi, ma sono sul mercato statunitense come veri e propri vini nonostante la lista degli ingredienti includa succhi di altra frutta, acidi di ogni tipo, sale e altri additivi. Vedi immagini.
Il dibattito durante la masterclass si è acceso anche sul packaging: se di fatto sono bibite che ricordano il sapore del vino perché metterle in una bottiglia, in un calice? È fuorviante come le sigarette di cioccolato? No, dicevano i relatori, è come il pane senza glutine, è comunque pane. O lo yogurt vegetale.
E gli esempi sono calzanti, dato che vengono inseriti nella categoria merceologica del food e devono riportare lista degli ingredienti e valori nutrizionali.
Lo fanno ben volentieri per vantare meno calorie del vino o dei superalcolici, ma sicuramente sono più ricche di zucchero. Da un lato si lotta contro lo smisurato consumo di Coca Cola e bevande dolci, dall’altro si afferma che sono sempre meglio di un bicchiere di vino? C’è ancora molta confusione sul posizionamento, per ora possiamo osservare con attenzione le scelte dei consumatori e i test di queste aziende pioniere, anche se il vino senza alcol non è affatto una novità, volete scoprire perché? Ascoltate l’ultima puntata di Spill Out Show nella quale intervista Alessandra Biondi Bartolini, agronoma, giornalista e divulgatrice scientifica, direttrice scientifica della testata Millevigne. Con lei abbiamo fatto chiarezza su cosa sono, come si fanno e come si chiamano i vini sottoposti a dealcolizzazione totale o parziale, sulla base delle normative europee.
Buona visione o buon ascolto: